“Una domanda è come un coltello che squarcia la tela di un fondale dipinto per permetterci di dare un’occhiata a ciò che si nasconde dietro.”
Milan Kundera
“Sembriamo sardine!” penso mentre la persona dietro di me non può fare altro che usarmi d’appoggio. La destinazione è lontana. La parola “pardon” si sente per tutto il tragitto. Toccarsi è inevitabile. “Ecco che per due ore, avrò un pisello mezzo morto appoggiato sul culo e che chiede perdono!” inizio di un volgarissimo pensiero che mi si piazza nel corpo.
Penso alle alternative… Non ci sono. “Ovunque andrò avrò qualcuno che mi chiederà perdono per appoggiarsi fisicamente a me!” sorrido grazie alla mia egoistica prospettiva. “Non è una prospettiva, ma una realtà che ho sempre vissuto!” ecco ancora il verme immaginario che interrompe la percezione del luogo.
Mentre ridacchio espirando un po’ d’aria condizionata, “almeno questo” aggiungo silenziosa; la voce che poco prima ha detto nella sua lingua “pardon”, ora domanda:
-Limone?
Questa volta sono io che per accordarmi alla sua lingua e alla sua domanda, con tono interrogatorio dico:
-Pardon…
-No, mi scusi… (Ancora lo devo perdonare? penso) Vorrei sapere se il suo profumo è una fragranza creata col limone.
-Mmm… Sì. Della famiglia.
-Della famiglia?
-Un amico molto stretto.
-Citrico?
-Sì.
-Nome?
-Maria.
-Del citrico.
-E più difficile del mio.
A quel punto rimaniamo in silenzio, i vicini così prossimi, ci ascoltano. Una frenata riduce lo spazio tra lui e me. Sento che respira tra i miei capelli. Mi chiede ancora scusa, dice:
-Ero allergico ai citrici!
Mi giro di scatto appoggiando il mio sedere sulla schiena di una signora bassetta che avevo davanti, la mia borsa tra lui e me, domando:
-Mi dovrei spostare?
-Ho detto “ero”…
-E da quando non lo è?
-Da venti minuti.
-Sta cercando di essere cortese.
-Sono cortese.
-Vuole che gli sveli il nome?
-Me l’ha già detto.
-Il nome del citrico.
-Quello lo so.
-Ah sì? E come si chiama.
-Glielo devo dire all’orecchio. Sono un profumiere e non vorrei che altri lo scoprissero.
Abbasso la borsa, appoggio il mio corpo sul suo, gli porgo l’orecchio destro spostando i capelli, con l’orecchino sto toccando le sue labbra, attendo curiosa. L’autobus gira velocemente a destra, lui mi sostiene dal punto vita non potendo evitare il contatto del suo viso con il mio dice:
-Philippe.
Strasburgo, dove quello che per me era grigio oggi lo scopro rosa e anche celeste. 2012 – Maria A. Listur
Intolerances
“A question is like a knife that rips a canvas of a painted backcloth to let us take a glance to what is hidden behind.”
Milan Kundera
“We look like sardines!” I think while the person behind me can’t help but use me as a stand. The destination is far away. The word “pardon” is heard throughout the whole trip. Touch each other is inevitable. “Here we go, for two hours I’ll have an almost dead dick leaned against my butt and that is asking to be forgiven!” I start a very vulgar thought that remains in my body.
I think about alternatives… There aren’t any. “ Everywhere I go I’ll have somebody asking me to forgive him to lean physically on me!” I chuckle thanks to my egoistic perspective. “It is not a perspective but a reality I have always lived!” here it comes the imaginary worm that interrupts the perception of the place.
While chuckling I exhale a bit of conditioned air, “at least this” I add silently; the voice that a while before has told me in his language “pardon”, now asks:
-Lemon?
This time it is I who to accord myself to his language and his question, with quizzical tone ask:
-Pardon…
-No, excuse me… (Do I have to forgive you again? I think) I’d like to know if your perfume is a fragrance created with lemon.
-Mmh… Yes. From the same family.
-From the same family?
-A very close friend of it.
-Citric?
-Yes.
-Name?
-Maria.
-Of the citric.
-It’s more difficult than mine.
At this point we remain silent, the neighbors, so close, are listening. A sudden break reduces the space between him and me. I feel he breathing between my hairs. He excuses himself, says:
-I was allergic to citric!
I turn around leaning my bottom on the back of a short lady I had in front of me, my purse between him and me. I ask:
-Should I move?
-I said, “I was”…
-And since when you stopped?
-Since twenty minutes.
-You are trying to be nice.
-I am nice.
-Do you want me to reveal the name?
-You already told me.
-The name of the citric.
-I know that.
-Oh really? And what is it.
-I have to whisper it to your ear. I am a perfumer and wouldn’t want that others find out.
I lower the purse, lean my body on his, offering my right ear moving away the hairs, with my ear I am touching his lips, waiting curiously. The bus turns quickly to the right, he holds me from my waistline being unable to avoid the contact of his face with mine saying:
-Philippe.
Strasburg, where what used to be grey for me today I discover it pink and blue-sky. 2012 – Maria A. Listur